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Riflessioni sulla Passione – Parte quarta

Riflessioni sulla passione, morte,

discesa agli inferi e risurrezione di Nostro Signore Gesù

(dal commento al Credo di San Tommaso d’Aquino)

PARTE QUARTA

Insegnamenti che ne derivano

Da quanto si è detto si possono ricavare per la nostra istruzione quattro insegnamenti.

1- Ricavarne una ferma speranza.

Per quanto grande sia l’afflizione in cui si trova l’uomo, egli non deve disperare né diffidare dell’aiuto di Dio. Non c’è infatti uno stato più penoso di quello di trovarsi all’inferno. Se dunque Cristo liberò quelli che vi si trovavano, chiunque altro che sia amico di Dio deve avere grande fiducia di essere da lui liberato qualunque sia la tribolazione che lo affligge, perché (la Sapienza) “non abbandonò il giusto venduto … scese con lui nella prigione, non lo abbandonò mentre era in catene” (Sap 10,13-14). E poiché Dio aiuta in modo speciale i suoi servi, colui che serve Dio deve sentirsi molto sicuro. Dice infatti il Siracide: “Lo spirito di coloro che temono il Signore vivrà, perché la loro speranza è posta in colui che li salva” (Sir 34,14).

2 – Concepire il timore di Dio e bandire la presunzione.

Sebbene abbia patito per i peccatori e sia sceso agli inferi, Cristo non ha però liberati tutti, ma – come si è detto – solamente quelli che erano senza peccato. Vi lasciò invece quelli che erano morti in peccato mortale. Perciò, nessuno che muoia in peccato mortale può sperare nel perdono, ma rimarrà all’inferno per tutto il tempo che i santi rimarranno in paradiso, cioè in eterno, come si legge in Matteo: “Se ne andranno questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna” (Mt 25,46).

3 – Essere vigilanti.

Cristo infatti, scese agli inferi per la nostra salvezza. Analogamente, anche noi dobbiamo essere solleciti a scendervi frequentemente per meditare sulle pene che vi si soffrono, come faceva il santo Ezechia che scrisse: “io dicevo: a metà della mia vita me ne vado alle porte degli inferi” (Is 38,10). Infatti, chi mentre vive scende frequentemente col pensiero all’inferno, facilmente non vi scenderà dopo la morte, perché tale meditazione lo ritrarrà dal peccato. È infatti una constatazione, che gli uomini di questo mondo si guardano dal commettere cattive azioni per timore della pena temporale. E ancora di più staranno attenti a non peccare per non incorrere nella pena dell’inferno, che è ben maggiore sia per la durata che per l’intensità: “in tutte le tue opere – diceva il Siracide – ricordati della tua fine e non cadrai mai nel peccato” (Sir 7,40).

4 – Crescere nella carità.

Cristo scese infatti agli inferi per liberarvi i suoi. Analogamente, anche noi dobbiamo scendervi per portare aiuto ai nostri cari che per sé non possono fare nulla. Dobbiamo perciò aiutare le anime che sono in purgatorio. Si mostrerebbe infatti estremamente crudele chi non aiutasse un suo amico rinchiuso in un carcere; ma sarebbe ancor più crudele chi non aiutasse un suo amico che si trova in purgatorio, poiché non c’è alcun paragone tra le pene del purgatorio e quelle di questo mondo. “Pietà, pietà di me, almeno voi miei amici – diceva Giobbe – perché la mano di Dio mi ha percosso!” (Gb 19,21) e il Libro dei Maccabei diceva al riguardo: “è santo e salutare il pensiero di pregare per i defunti affinché siano liberati dai loro peccati” (2 Mac 12,46). Le anime dei defunti possiamo poi aiutarle – come dice Agostino – principalmente in tre modi: con le Messe, con le elemosine e la preghiera. E Gregorio ne aggiunge un quarto, cioè il digiuno. Né ci si deve poi meravigliare se per provare la possibilità di aiutare le anime del purgatorio abbiamo fatto ricorso al paragone che anche in questo modo l’amico può soddisfare per l’amico.
Preghiamo.

Il terzo giorno risuscitò da morte

È necessario che gli uomini conoscano due cose: la gloria di Dio e la pena dell’inferno, perché essi, allettati dalla gloria e spaventati dalla pena, possano star lontani dal peccato ed evitarlo. Ma sono cose queste molto difficili da conoscere. Per cui, della gloria si dice: “A stento ci raffiguriamo le cose terrestri, scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi può rintracciare le cose del cielo?” (Sap 9,16). Ed è questa un’impresa difficile per chi è terreno, perché, come dice Giovanni (Gv 3,31): “Chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla della terra“; non è cosa invece difficile per chi è spirituale, perché “chi viene dal cielo è al di sopra di tutti”. Per questo il Signore è disceso dal cielo e si è incarnato: per insegnarci le cose celesti.
Era anche difficile venire a conoscere le pene dell’inferno. Il Libro della Sapienza pone sulla bocca degli stolti queste parole: “Non si è trovato alcuno che sia tornato dagli inferi” (Sap 2,1). Ma ora non si può più dire così, perché Cristo, com’è disceso dal cielo per insegnarci le cose celesti, così è risorto dai morti per insegnarci le cose degli inferi. È perciò necessario che noi crediamo non solo che egli si è fatto uomo ed è morto, ma anche che risuscitò dal morti. Perciò nel Simbolo viene detto: “
il terzo giorno risuscitò dai morti“.

Caratteristiche della sua risurrezione

Sappiamo che molti sono risuscitati dai morti, come Lazzaro, il figlio della vedova e la figlia dell’archisinagogo. Ma la risurrezione di Cristo differisce da quella di costoro e degli altri per quattro motivi.

1 – Quanto alla causa.

Gli altri risuscitati non risorsero per virtù propria ma, o per quella di Cristo o per le preghiere di qualche santo. Cristo, invece, risuscitò per virtù propria, perché egli non era soltanto uomo ma anche Dio, e la divinità non fu mai separata né dalla sua anima né dal suo corpo. Perciò, quando egli volle, il suo corpo riassunse l’anima e l’anima il corpo. Lo affermò lui stesso: “Io ho il potere di offrirla (la mia vita) e il potere di riprenderla di nuovo” (Gv 10,18). E, pur avendo subita la morte, questa non avvenne per infermità o per necessità, ma per propria volontà, spontaneamente: il che risulta anche dal fatto che egli, nel momento di emettere lo spirito gridò ad alta voce: cosa che non possono fare gli altri che muoiono a causa della loro infermità. Fu questo il motivo che fece dire al centurione: “Davvero costui era Figlio di Dio” (Mt 27,54). Pertanto, come per virtù propria depose l’anima, così per virtù propria la riprese, per cui giustamente si dice che egli “risuscitò” e non che “è stato risuscitato“, come se ciò fosse avvenuto per intervento altrui. Egli può dire di sé quanto dice il salmista: “Io mi corico e mi addormento, mi sveglio (perché il Signore mi sostiene)” (Sal 3,6). Né questo è in contraddizione con quanto si legge negli Atti: “Questo Gesù Dio l’ha risuscitato” (At 2,32), perché il Padre lo risuscitò e il Figlio risuscitò se stesso, essendo unica la potenza del Padre e del Figlio.

2 – Quanto alla nuova vita del risorto.

Cristo risuscitò a una vita gloriosa e incorruttibile. Lo afferma l’Apostolo quando dice: “Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre” (Rm 6,4), mentre gli altri tornano alla medesima vita di prima, come sappiamo di Lazzaro e degli altri risorti.

3 – Quanto ai frutti che ne derivarono.

Tutti gli altri risorgono in virtù della risurrezione di Cristo. Infatti, dice il Vangelo che, alla risurrezione di lui, “molti corpi di santi morti risuscitarono” (Mt 27,52) e S. Paolo afferma che “Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti” (1 Cor 15,20). Non sfugga, però, che Cristo giunse alla gloria attraverso la passione, come egli stesso dichiarò ai suoi discepoli: “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,26).
Così ci insegnò come anche noi potessimo giungere alla gloria, perché – come afferma S. Paolo – “
è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio” (At 14,22).

4 – Quanto al tempo.

La risurrezione degli altri viene, infatti, differita alla fine del mondo, a meno ché ad alcuni non sia stata anticipata per privilegio, come alla Beata Vergine e, come piamente si crede, al beato Giovanni Evangelista. Cristo, invece, risuscitò al terzo giorno. La ragione è che la nascita, la morte e la risurrezione di lui erano ordinate alla nostra salvezza, e pertanto egli volle risorgere appena la nostra salvezza fu compiuta. Ma se fosse risorto subito dopo la morte, non si sarebbe creduto che egli fosse veramente morto; e se l’avesse differita di molto tempo, i suoi discepoli non avrebbero perseverato nella fede e di conseguenza la sua passione non sarebbe stata di alcuna utilità, come dice il salmo: “Quale vantaggio dalla mia morte, dalla mia discesa nella tomba?” (Sal 30,10). Risuscitò perciò il terzo giorno affinché fosse creduto morto e i suoi discepoli non perdessero la fede.

Quattro insegnamenti da ricavarne

Da quanto si è detto della risurrezione di Cristo possiamo ricavare a nostra erudizione quattro insegnamenti.

1 – Dobbiamo impegnarci per risorgere spiritualmente dalla morte dell’anima, in cui incorre l’uomo col peccato, alla vita di grazia che si riacquista mediante la penitenza. Dice infatti l’Apostolo: “Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà” (Ef 5,14). È questa quella prima risurrezione cui allude l’Apocalisse quando dice: “Beati e santi coloro che prendono parte alla prima risurrezione” (Ap 20,6).

2 – Non dobbiamo differire questa nostra risurrezione al momento della morte, ma dobbiamo attuarla subito, perché Cristo è risorto al terzo giorno. A tanto ci invita anche il Siracide: “Non aspettare a convertirti al Signore, e non rimandare di giorno in giorno” (Sir 5,8). Come potresti, infatti, pensare alla salvezza dell’anima quando sarai oppresso dalla malattia? Inoltre, perché perseverando nel peccato, vorresti privarti della partecipazione di tanti beni che si fanno nella Chiesa e incorrere in tanti mali? Il diavolo, inoltre, – come dice Beda quanto più a lungo possiede un’anima, tanto più difficilmente la lascia.

3 – Dobbiamo risorgere a una vita incorruttibile, per non morire di nuovo, cioè col proposito di non peccare più, come Cristo che “risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui” (Rm 6,9). Perciò, “Anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù. Non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi desideri; non offrite le vostre membra come strumenti di ingiustizia al peccato, ma offrite voi stessi a Dio come vivi tornati dai morti” (Rm 6,11-13).

4 – Sforziamoci di risorgere a una vita nuova e gloriosa, tale cioè da evitare tutte quelle cose che prima ci erano state occasione e causa di morte e di peccato. “Come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4), e questa vita nuova è una vita di grazia che rinnova l’anima e porta alla vita di gloria.
Alla quale dobbiamo tutti aspirare.

È salito al cielo, siede alla destra del Padre

Dopo che alla risurrezione di Cristo, dobbiamo credere anche alla sua ascensione al cielo, perché Cristo vi salì quaranta giorni dopo. Perciò si dice nel Simbolo “Salì al cielo“. Ma sulla sua ascensione vogliamo fare tre considerazioni: che fu un fatto eccezionale, ragionevole e utile.

1 – Fu un fatto eccezionale.

Fu veramente un fatto eccezionale questo suo salire nei cieli. E ciò per tre motivi. Innanzitutto perché egli salì al di sopra dei cieli materiali, essendo salito – come afferma l’Apostolo – “al di sopra di tutti i cieli” (Ef 4,10) e fu il primo a compiere una tale ascensione, perché prima di lui un corpo terrestre era rimasto sempre sulla terra, tanto è vero che lo stesso Adamo era vissuto in un paradiso terrestre.
Ma egli salì anche al di sopra dei cieli di natura spirituale, perché come scrive S. Paolo agli Efesini – il Padre “
lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro. Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi” (Ef 1,20-22). Egli inoltre salì fino al trono di Dio Padre, come profetizzò Daniele: “Ecco apparire, sulle nubi dei cielo, uno, simile ad un figlio di uomo; giunse fino al Vegliardo e fu presentato a lui” (Dan 7,13); e Marco conferma, che: “Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio” (Mc 16,19). Quando però si dice che egli sedette alla destra del Padre, non dobbiamo intenderlo in senso materiale ma soltanto metaforico, perché questo è un modo umano di esprimersi. Egli come Dio siede alla destra del Padre nel senso che è partecipe dei beni più eccellenti di lui. Questo lo aveva preteso il diavolo, quando, ai dire di Isaia, aveva pensato: “Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono, dimorerò sul monte dell’assemblea, nelle parti più remote del settentrione. Salirò sulle regioni superiori delle nubi, mi farò uguale all’Altissimo” (Is 14,13-14). Ma a tali altezze non pervenne che il Cristo, del quale il Simbolo dice appunto, che “salì al cielo, siede alla destra del Padre” e il salmo dice: “Oracolo del Signore al mio Signore: siedi alla mia destra” (Sal 110,1).

2 – Fu un fatto ragionevole.

Lo dimostriamo con tre motivi, il primo dei quali è che il cielo era dovuto a Cristo in forza della sua natura. È infatti conforme a natura che ogni cosa ritorni là da dove ha tratto origine. Orbene, l’origine di Cristo è da Dio, il quale è sopra ogni cosa, ed era perciò giusto che egli salisse sopra tutte le cose. Lo dice Gesù stesso: “Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre” (Gv 16,28) e “nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo” (Gv 3,13). È vero che anche i santi salirono e salgono al cielo, ma in maniera diversa da quella di Cristo; perché, mentre egli vi salì per virtù propria, i santi vi salgono perché attratti da lui: “Attirami dietro a te” (Ct 1,4). E si può anche dire che nessuno è salito al cielo tranne Cristo, perché i santi non vi salgono se non in quanto sono membra di lui, che è il capo della Chiesa (cf. Mt 24,28).
Ma il cielo era dovuto a Cristo anche per la sua vittoria. Egli era infatti stato mandato nel mondo per combattere contro il diavolo, e lo aveva sconfitto. Perciò si meritò di venire esaltato sopra tutte le cose. Ne dà conferma l’Apocalisse: “
Io ho vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono” (Ap 3,21).
Infine, il cielo gli era dovuto per la sua umiltà. Non c’è infatti umiltà più grande di quella di Cristo, il quale, essendo Dio, volle diventare uomo, ed essendo il Signore, volle – come dice S. Paolo – assumere la condizione di servo… “
facendosi obbediente fino alla morte” (Fil 2,8) e discese fino agli inferi. Meritò perciò, di venire esaltato fino al trono di Dio, dato che “chi si umilia sarà esaltato” (Lc 14,11). E giustamente, quindi, l’Apostolo dice di lui: “Colui che discese è lo stesso che anche ascese ai di sopra di tutti i cieli” (Ef 4,10).

3 – Fu un avvenimento utile.

Lo fu per tre motivi, il primo dei quali è quello di essere guida per noi. Salì infatti al cielo, per guidarvici noi, alla stessa maniera che risorse per far risorgere noi. Non ne conoscevamo infatti la strada e Cristo ce la mostrò accessibile: “Chi ha aperto la breccia li precederà… e marcerà il loro re innanzi a loro” (Mi 2,13), assicurandoci in pari tempo della possibilità di possedere il regno celeste, perché egli disse: “Vado a prepararvi un posto” (Gv 14,2).
Rafforzò poi, questa nostra speranza il fatto che egli vi salì per esservi nostro intercessore, perché così, come dice l’Apostolo, egli “
può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore” (Eb 7,25). E Giovanni aggiunge: “Abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo” (1 Gv 2,1).
Fu utile infine, per attrarre a sé i nostri cuori, dato che “
dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21) e indurci a disprezzare le cose temporali: “Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3,1-2).

Riflessioni sulla Passione – Parte terza

Discese agli inferi

Come abbiamo detto, la morte di Cristo avvenne per la separazione della sua anima dal corpo, come avviene per tutti gli altri uomini. Ma la divinità era così inscindibilmente unita all’uomo Cristo, che, nonostante la avvenuta separazione dell’anima dal corpo, essa rimase sempre presente sia all’anima che al corpo, sicché il Figlio di Dio, mentre col suo corpo era nel sepolcro, con la sua anima discese all’inferno. Ecco perché i santi Apostoli dissero: “Discese agli inferi”.

Per quali motivi discese agli inferi

Vi sono quattro ragioni per spiegare perché Cristo scese con la sua anima agli inferi.

1- Per sottomettersi interamente alla pena del peccato e così espiarne tutta la colpa

Infatti, la pena dovuta al peccato non consisteva solamente nel dover subire la morte del corpo, ma anche una sofferenza dell’anima perché anch’essa aveva concorso al peccato. Perciò dopo la morte, prima della venuta di Cristo, discendeva all’inferno. Anche Cristo, per sottomettersi totalmente alla pena dovuta ai peccatori, volle così non soltanto morire ma anche discendere con la sua anima all’inferno. Il salmo può perciò dire di lui: “Sono annoverato tra quelli che scendono nella fossa, sono come un uomo ormai privo di forza” (Sal 88,5). Cristo però discese agli inferi in maniera diversa da come vi erano discesi gli antichi padri. Essi vi erano discesi per necessità e vi erano stati condotti e trattenuti contro la loro volontà. Cristo invece con autorità e liberamente. Perciò si dice di lui: “Sono annoverato tra quelli che scendono nella fossa, sono come un uomo ormai privo di forza” (Sal 88,8). Gli altri, quindi, vi erano come schiavi, mentre Cristo come uomo libero.

2 – Per aiutare in modo perfetto tutti i buoni, suoi amici

Cristo aveva infatti amici non solo nel mondo, ma anche agli inferi. Si è infatti suoi amici in proporzione alla carità. Ma negli inferi c’erano molti che erano morti nella carità e con la fede nel futuro Messia, come Abramo, Isacco, Giacobbe e Davide e molti altri uomini giusti e perfetti. E poiché Cristo aveva visitato i suoi che erano nel mondo e aveva loro portato aiuto con la sua morte, volle far visita anche ai suoi che si trovavano agli inferi e aiutarli con la sua visita: “Penetrerò in tutte le profondità della terra, visiterò tutti coloro che dormono e illuminerò tutti coloro che sperano nel Signore” (Sir 24,45, Volgata).

3 – Per trionfare totalmente sul diavolo

Uno infatti trionfa totalmente su un altro, quando non solo lo vince sul campo, ma gli occupa anche la sede del regno e la casa. Orbene, Cristo aveva trionfato del diavolo e lo aveva vinto sulla croce, come affermò lo stesso Gesù quando disse: “Ora è il giudizio di questo mondo, ora il principe di questo mondo – cioè il diavolo – sarà gettato fuori” (Gv 12,31), cioè dal mondo. Perciò, per trionfare di lui in maniera totale, Gesù volle togliergli la sede del suo trono e legarlo nella sua casa che è l’inferno. Scendendovi distrusse tutti suoi beni, lo legò e gli strappò la sua preda, come dice l’Apostolo: “Avendo privato della loro forza i Principati e le Potestà, ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale di Cristo” (Col 2,15). Inoltre, avendo in precedenza già ricevuto il potere sul cielo e sulla terra, Cristo volle in tal modo prendere possesso anche dell’inferno, affinché – come afferma l’Apostolo – “nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra” (Fil 2,10) e i suoi discepoli nel suo nome scacciassero i demoni (cf. Mc 16,17).

4 – Per liberare i santi che si trovavano agli inferi

Cristo, infatti, come volle sottostare alla morte per liberare da essa i viventi, così volle discendere agli inferi per liberare coloro che vi si trovavano. Scriveva in proposito il profeta Zaccaria: “Quanto a te, per il sangue dell’alleanza con te, io estrarrò i tuoi prigionieri dal pozzo senz’acqua” (Zac 9,11) e Osea profetizzò: “O morte, sarò la tua morte; o inferno, sarò il tuo morso” (Os 13,14). Infatti, sebbene Cristo abbia sconfitto totalmente la morte, non distrusse completamente l’inferno ma soltanto lo corrose, perché non liberò tutti dall’inferno ma solo quelli che erano senza peccato mortale: cioè quelli che erano personalmente senza peccato originale, in quanto ne erano stati mondati dalla circoncisione, ed erano senza peccato attuale, e che vi erano trattenuti in forza del peccato di Adamo dal quale, quanto alla natura, non potevano venire liberati che da Cristo. Vi lasciò invece coloro che erano in peccato mortale. Per questo è detto: “O inferno, sarò il tuo morso“.
Ora è perciò chiaro che Cristo discese agli inferi e perché.

Immagine: Discesa agli inferi, Beato Angelico

Riflessioni sulla Passione – Parte seconda

Riflessioni sulla passione, morte, discesa agli inferi e risurrezione di Nostro Signore Gesù

(dal commento al Credo di San Tommaso d’Aquino)

PARTE SECONDA

B – Come esempio.

Ma non è minore l’utilità che ci viene dal suo esempio. Come dice, infatti, il beato Agostino, la passione di Cristo è sufficiente per orientare tutta la nostra vita. Chiunque voglia, infatti, vivere perfettamente non ha altro da fare che disprezzare ciò che Cristo ha disprezzato e desiderare ciò che Cristo ha desiderato. Nessun esempio di virtù è infatti esente dalla croce.
Infatti:

1- Cerchi un esempio di carità? Eccolo. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Così ha fatto Cristo sulla croce. Se perciò egli ha dato la sua vita per noi, non ci dovrebbe essere pesante sopportare qualsiasi male per lui. Infatti: “che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato?” (Sal 116,12).

2- Cerchi un esempio di pazienza? Ne trovi uno quanto mai eccellente sulla croce. La pazienza, infatti, si giudica grande in due circostanze: o quando uno sopporta pazientemente grandi avversità, o quando si sostengono avversità che si potrebbero evitare, ma non si evitano. Orbene, Cristo sulla croce sopportò grandi sofferenze: “Voi tutti che passate per la via, considerate e osservate se c’è un dolore simile al mio” (Lam 1,12). E le sopportò con pazienza, perché “oltraggiato non rispondeva con oltraggi e soffrendo non minacciava vendetta” (1 Pt 2,23); ed “era come agnello condotto ai macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori” (Is 53,7). Inoltre poteva evitare tali sofferenze ma non volle. Nel Getsèmani disse infatti a Pietro: “Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di Angeli?” (Mt 26, 53). La pazienza di Cristo sulla croce fu quindi grande, per cui “corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli, in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l’ignominia“(Eb 12,1-2).

3 – Cerchi un esempio di umiltà? Guarda il crocifisso: è Dio che ha voluto essere giudicato sotto Ponzio Pilato e subire la morte “con giudizi da empio” (Gb 36,17), come fosse veramente un empio, perché dissero di lui: “condanniamolo a una morte infame” (Sap 2,20). Il padrone volle morire per il servo e lui, che è la vita degli Angeli, per l’uomo, “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2, 8).

4 – Cerchi un esempio di obbedienza? Segui colui che si è fatto obbediente al Padre fino alla morte: “Come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti” (Rm 5,19).

5 – Cerchi un esempio di disprezzo delle cose terrene? Segui colui che è il Re dei re e il Signore dei signori, nel quale si trovano “tutti i tesori della sapienza e della scienza” (Col 2,3), che tuttavia sulla croce compare nudo, schernito, sputacchiato, percosso, coronato di spine, e in fine abbeverato con fiele ed aceto. Non legare dunque il tuo cuore alle vesti e alle ricchezze, perché i soldati “si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte” (Sal 22,19); non agli onori, perché io, “sono stato oggetto di insulti e di flagelli“; non alle dignità, perché “sul mio capo, intrecciandola, posero una corona di spine“; non ai piaceri, perché “quando avevo sete mi hanno dato aceto” (Sal 69,2).
In un suo commento al passo della Lettera agli Ebrei: “
Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l’ignominia” (Eb 12,2), S. Agostino dice che “l’uomo Cristo Gesù disprezzò tutti i beni terreni per dimostrare che si devono disprezzare“.
Preghiamo il Signore.

Immagine: dalla Via crucis, Gaetano Previati, Musei Vaticani

Riflessioni sulla Passione – Parte prima
Nel Giubileo di S. Tommaso d'Acquino, viviamo questi ultimi giorni di Quaresima meditando le riflessioni sul "Credo" del grande Dottore

Riflessioni sulla passione, morte,

discesa agli inferi e risurrezione di

Nostro Signore Gesù

(dal commento al Credo di San Tommaso d’Aquino)

Necessità della passione di Cristo

Che necessità c’era perché il Verbo di Dio patisse per noi?
Grande, come si può cogliere da questa doppia motivazione:
la prima, come rimedio contro i nostri peccati
e la seconda come esempio al nostro operare.

A – Come rimedio.

Perché è nella passione di Cristo che troviamo rimedio contro tutti i mali in cui possiamo incorrere per i nostri peccati.
Orbene, il peccato ci procura cinque mali:

1 – Ci macchia.

L’uomo, infatti, quando pecca deturpa la propria anima, perché, come la virtù per l’anima è la sua bellezza, così il peccato ne è la macchia. Diceva al riguardo il profeta Baruc: “Perché, Israele, perché ti trovi in terra nemica… perché ti contamini con i cadaveri?” (Bar 3,10-11). Ma questa macchia viene tolta dalla passione di Cristo, perché egli con la sua passione preparò un bagno con cui lavare i peccatori nel suo sangue. Dice infatti l’Apocalisse che egli “ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue” (Ap 1,5). L’anima infatti viene lavata dal sangue di Cristo nel Battesimo, perché esso trae la sua virtù rigeneratrice dal sangue di Cristo. Perciò, quando qualcuno si inquina nuovamente col peccato, reca un’offesa a Cristo e il suo peccato è più grande di quello commesso dagli uomini prima della redenzione. Scrive in proposito l’Apostolo: “Quando qualcuno ha violato la legge di Mosè, viene messo a morte senza pietà sulla parola di due o tre testimoni. Di quanto maggior castigo allora pensate che sarà ritenuto degno chi avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano quel sangue dell’alleanza” (Eb 10,28-29).

2 – Ci fa offendere Dio.

Infatti, come l’uomo carnale ama la bellezza carnale, così Dio ama quella spirituale, che è la bellezza dell’anima. Pertanto, quando l’anima si macchia col peccato, offende Dio il quale, di conseguenza, prende in odio il peccatore, come dice il Libro della Sapienza: “Sono in odio a Dio l’empio e la sua empietà” (Sap 14,9).
Orbene, questo viene rimosso dalla passione di Cristo, che ha soddisfatto il Padre – cosa che l’uomo da solo non avrebbe potuto fare – per il suo peccato. La carità e l’obbedienza di Cristo furono infatti più meritevoli di quanto non fossero state grandi la colpa e la disobbedienza dell’uomo. “Quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo” (Rm 5,10).

3 – Ci indebolisce.

Difatti, dopo una prima caduta nel peccato, l’uomo si illude di potersene trattenere in seguito. Avviene invece tutto il contrario, perché dal primo peccato egli viene debilitato e reso maggiormente incline a ripeccare. Il peccato soggiogherà l’uomo più di prima e lo metterà nella condizione, per quanto dipende dalle sole sue forze, di non poter risorgere senza un intervento divino: come uno che si getta in un pozzo e non può esserne estratto che da un altro. Dal peccato del primo uomo la natura umana fu infatti indebolita e corrotta e l’uomo si ritrovò più incline a peccare e maggiormente dominato da esso. Cristo, è vero, curò questa sua infermità e debolezza, ma non totalmente; per cui, dalla passione di Cristo l’uomo è stato rinvigorito e ne è stata indebolita l’inclinazione al peccato, che in tal modo non lo domina più. Anzi, con l’aiuto della grazia di Dio, che gli viene conferita dai Sacramenti che traggono efficacia dalla passione di Cristo, può ora lottare per resistere al peccato, perché “il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui (Cristo), perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato” (Rm 6,6).

4 – Ci rende meritevoli del castigo.

La giustizia di Dio esige, infatti, che chi pecca venga punito e che la pena sia proporzionata alla colpa. Ora, siccome la colpa del peccato mortale è infinita, in quanto offesa di un bene infinito, ossia Dio, i cui precetti il peccatore disprezza, anche la pena dovuta al peccato mortale è infinita. Ma Cristo con la sua passione ci ha liberati da questa pena, sottoponendovisi al nostro posto. Come dice S. Pietro: “Egli portò i nostri peccati – cioè la pena dovuta ad essi – nel suo corpo sul legno della croce” (1 Pt 2,24). E la passione di lui fu di un valore così grande da bastare ad espiare tutti i peccati del mondo intero, anche se il loro numero fosse stato infinito. È per questo che coloro che ricevono il Battesimo vengono assolti da tutti i loro peccati e che anche il sacerdote può assolverli tutti.
Ne segue anche, che quanto più uno si conforma alla passione di Cristo, tanto maggior perdono egli ottiene e più grazia egli merita.

5 – Ci espelle dal Regno.

Coloro, infatti, che offendono il re, sono costretti ad andare in esilio.
Analogamente, per il suo peccato l’uomo viene cacciato dal paradiso: è quello che successe immediatamente ad Adamo a causa della sua colpa e, dopo, la porta del paradiso venne chiusa.
Ma Cristo con la sua passione la riaprì e richiamò nel regno gli esiliati. La porta del paradiso fu riaperta in seguito all’apertura del costato di Cristo, quando, a causa dello spargimento del suo sangue, la macchia del peccato fu lavata, Dio fu placato, la fragilità umana fu curata, la pena espiata e gli esuli furono richiamati nel regno. È per questo che al ladrone fu subito detto “
oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23,43): parole che non erano mai state dette ad alcuno prima di allora: non ad Adamo, non ad Abramo, non a Davide. Solo oggi, dopo cioè che ne fu riaperta la porta, la domanda di perdono del ladrone venne accolta “avendo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù” (Eb 10,19).

Risulta, dunque, da quanto si è detto, l’utilità della passione di Cristo come rimedio.

Continua…

Immagine: Beato Angelico, Compianto sul Cristo morto, particolare

Il mistero della Croce
Breve meditazione per la Qujaresima 2024

La croce non fu voluta dalla giustizia insaziabile del Padre, ma dall’amore insaziabile del Figlio e del Figlio fatto uomo, cioè dal Cuore di Gesù, che volle fare più del necessario per scuotere il freddo cuore degli uomini. E dopo ciò non fu ancora contento, ma volle darei anche la santissima Eucarestia.

Questa era voluta dalla giustizia insoddisfatta o dall’amore insoddisfatto?

E l’Eucarestia non prepara e non accompagna la croce? Quando impareremo a buttarci fra le braccia dell’amore di Dio?

Il mistero della croce è il più vicino a noi e insieme il più difficile ad essere da noi compreso con «intelletto d’amore». Comprendere la croce di Gesù è penetrare nel segreto del suo Cuore, è avere la rivelazione illuminante dell’amore infinito di Dio per noi poveri peccatori e del valore «quasi infinito» di ogni anima. Perciò è segreto di santità e di apostolato la croce di Gesù: una volta conosciuto come Gesù ci ama, non ci è possibile non obbedire alle esigenze dell’amore di Dio per amare fino a morire.

Saper stare ai piedi del Crocifisso con Maria, la madre di Gesù: ai piedi del Crocifisso, come san Domenico in beata e dolorosa contemplazione di amore abbracciato fortemente dalla croce, come Caterina «con ansietato desiderio» lasciarsi bagnare dal Sangue del Salvatore e inebriarsi e offrirsi e perdersi nell’amore di Gesù per la pace della Chiesa, per la salvezza del mondo: stare ai piedi della Croce, guardare Gesù crocifisso, penetrare il suo mistero di amore, di dolore, di gloria, è stata la sapienza dei santi.

Che cosa possiamo fare noi di fronte a tanto amore e a tanto dolore? Che cosa dobbiamo suscitare nell’anima nostra, per corrispondere almeno noi e supplire a quanto tanti nostri fratelli, redenti come noi dal preziosissimo Sangue di Gesù, non sanno o non vogliono fare? Queste domande hanno torturato i santi, e dovrebbero suscitare anche in noi un sentimento così forte, una volontà così efficace da spingerci come naturalmente ad abbandonare noi stessi e i nostri interessi personali per amare realmente Gesù e le anime, per riparare il peccato, offesa di Dio e dell’Amore crocifisso.

Dobbiamo averne anche noi il cuore ferito: il dolore per il peccato è un dolore inconsolabile, che deve suscitare nell’anima un desiderio insaziabile di riparazione. Di fronte ai peccati che l’umanità continua a commettere con una malizia talvolta veramente diabolica, dobbiamo sentire il bisogno di unirci a Gesù in una amorosa riparazione. È lui e soltanto lui il vero Salvatore: ma in lui e con la sua grazia possiamo portare anche noi il nostro contributo di amore e di dolore alla riparazione del male che si commette, «nel suo corpo, che è la Chiesa» (cfr. Col 1,24).

Dai Discorsi della S.D. Luigia Tincani, religiosa, “Egli si offre”, Roma.

Immagine: Cristo ligneo di Donatello, Padova.

Lettera: ottobre 1996

AMBALAU 18 ottobre 1996

Bisogna sempre chiamare in aiuto l’angelo custode, Maria, i Santi ed anche le anime contemplative su questa terra perché intercedano presso il Padre di ogni bontà e misericordia.

Gent.ma e cara Sorella,

La Grazia di Nostro Signore sia sempre con noi!

Oggi mi è arrivata la sua bella letterina insieme al materiale dalla base per celebrare la Giornata missionaria mondiale il 20 di ottobre 1996.

Non sono rientrato alla base di Nanga Pinoh perché ho avuto attacchi di malaria ed ero debole per rientrare, e poi affrontare di nuovo il viaggio molto lungo. Avrei rischiato poi di non poter celebrare la Giornata Missionaria almeno oltre che in Parrocchia, in altre stazioni grosse. Mi avrebbero consigliato di andare dal dottore, poi forse farmi ricoverare, poi forse far un periodo di riposo e via. Io sono un tipo che pensando all’ospedale mi ammalo di più ed allora c’è l’angelo custode che cerca di essere d’accordo con me, e con la Forza dei Dio tiene su. Guai se non fosse così! Anche i dayakki hanno una forza e una resistenza al dolore ed alla sofferenza che commuove, Io dico: “Sicuramente c’è Qualcuno che li sostiene, che li tiene su a secondo del variare dei loro bisogni e circostanze”! se no, non è possibile vivere in questo modo; certo bisogna ricorrere alle medicine ed anche al loro modo tradizionale di curare con erbe, ed altri intrugli che io chiamo “i misteriosi intrugli” “i grandi pasticci”. Ma quando per imprevidenza o poca saggezza non ci sono più, oppure non sono per niente efficaci, a chi ricorrere? Bisogna sempre chiamare in aiuto l’angelo custode, Maria, i Santi ed anche le anime contemplative su questa terra perché intercedano presso il Padre di ogni bontà e misericordia non solo per la salute dello Spirito, ma anche per quella del corpo che fanno un tutt’uno: la persona umana!

Mi è accaduto un fatto che ha fatto sì che non andassi via. Narrarlo brevemente prolungherà questa lettera ma non fa nulla. Come dicevo, nel plico della posta c’era solo la sua cara lettera dall’Italia con il Santino inserito. Il tutto ha un profondo significato missionario. Non riesco a capire come tale lettera sia arrivata così presto. Si vede proprio che come dice lei, cara Sorella, “la clausura è il grembo della missione” “dal nostro stare ferme dietro le nostre mura, nasce l’annuncio missionario che corre e di diffonde per il mondo intero”. Ed è arrivato fin qui in questo lembo di terra sconosciuto, da non essere segnato nemmeno sulla carta geografica del Kalimantan Barat. Poi le sue parole affiancate da quelle di Santa Teresina del Bambino Gesù completano il quadro missionario come un piccolo capolavoro rifinito. “Il mio cuore è pieno della volontà di Dio!… O come sento che mi perderei di coraggio se non avessi la fede, se non amassi Dio!… Se soffro, Dio mi darà la forza. Io l’amo ed Egli non mi abbandonerà mai!… Se non sapessi nulla di S. Teresina del Bambin Gesù, leggendo queste parole direi: “Qui c’è tutto quello che concerne la Santità come atteggiamento del cuore che ama e che ha immensa fiducia nel Signore, indipendentemente da quello che fa e che è! Mi pare poi che qui i teologi complicano le cose semplici quando commentano il passo del Vangelo di Marta e Maria o Maria e Marta, facendo una ridda di distinzioni e punti interrogativi. Ecco che Santa Teresina, e voi contemplative come lei, mettete insieme, facendo armonia in voi, sia Maria che Marta. La priorità va a Maria “che sta sempre con Gesù” e riesce a fare bene tutto quello che si deve fare dando la possibilità a Marta di servire, oppure di fare l’uno e l’altro con amore. Perché servire senza amore non serve a niente o ben poco! Sovente noi siamo loto Marta e poco Maria, senza armonia! Lo dico ai miei cattolici: “Ci sono in una settimana 168 ore ed è così difficile, un peso, dare un’ora, di Domenica, al Signore per stare con Lui. Sabato scorso avevo molta sete dopo un attacco di malaria. Sono andato verso sera ad una sorgente di acqua non molto distante dalla casa del Villaggio che funge da Casa Parrocchiale. È una benedizione del Signore che ci sia una sorgente di acqua. Ero quasi giunto ed ecco salta fuori un serpente (detto sawah) della lunghezza di quattro o cinque metri. Ebbi l’istinto di tirarmi indietro e lui invece di venire verso di me, andò via per conto suo. Ero sopra un piccolo rialzo da terra e lo vedevo veloce scivolare via muovendo l’erba verso la foresta. Quando fu ben distante mi portai alla fonte e bevvi a sazietà poi rientrai in case. Alle tre di notte si sente suonare il “Kotak” una specie di tamburo di legno che serve a richiamare la gente del Villaggio se c’è pericolo, oppure per un avvenimento importante. Tale richiamo proveniva dalle ultime case del villaggio, le più lontane. Avevano preso il serpente che aveva già divorato un maialino, inoltrandosi sotto la casa, rialzata da terra, di un dayakko. Questi, sceso a vedere di che cosa si trattava poiché gli animali facevano un gran fracasso alla vista del serpente lo uccise con la “parang” (scimitarra per tutti gli usi). Pesava 54 chili e, come è d’uso lo tagliarono facendone tante rotelle di carne, e ne distribuirono una rotelle per pata (casa famiglia). Ne toccò una anche a me. Dissi però di darmela già cucinata non avendo io la cucina ed essendo anche incapace di cucinare. Non era poi la prima volta che mangiavo carne di serpente. È buona, all’inizio sembra di mangiare carne di pollo, senza ossa, solo alla fine ha sapore amarognolo, di foglie o radici marcite in acqua stagnante. Ma va giù, soprattutto con il peperoncino e poi con il miglior ingrediente che è la fame. Dopo averne dato un pezzo ad ogni famiglia, con il resto si sono messi a fare festa. Ed è qui che per me sono sorte le difficoltà perché Marta ha avuto il sopravvento su Maria! Dovetti spostare la S. Messa (era di domenica) dal mattino (chiesta sempre da loro e non alla sera) alla sera! Molti arrivarono tardi ma arrivarono perché già …ubriachi!

Ero un po’ debole, ma alla Santa Messa ebbi tutta la forza di rimproverare e di affermare a piena voce che al Signore bisogna sempre dare il primo posto e l’ora migliore e non trattarlo da servo e metterlo all’ultimo posto! Prima la Messa! Dopo potete fare tutte le feste che volete e senza ubriacarvi! Chi vi ha dato il serpente e tutto l’occorrente per vivere è il Signore! Bisogna almeno dirgli grazie! La maggior parte dei presenti erano le donne ed erano le uniche a darmi ragione. Ed i pochi bambini che c’erano forse si domandavano zitti ed attenti, come mai io così mansueto con loro, soprattutto nel distribuire caramelle quando ci sono, riuscissi ad essere anche arrabbiato.

Ho raccontato tutto questo per dire che sotto tutti i cieli il Vangelo non ha mai avuto vita facile. E qui come da voi nell’opulento occidente, ha sempre il nemico in quel materialismo della vita che ha tutto occhi per la terra e niente o poco cuore per il cielo. Lo dissi anche ad un capo islamico: “guarda che io non voglio fare guerra a nessuno e nemmeno tu la devi fare a me. Noi dobbiamo essere fratelli uniti contro lo stesso nemico di ogni religione: materialismo ed ingordigia della vita) Volevo aggiungere anche “superbia della vita”, ma temevo di offenderlo. Mi disse solo che era rimasto meravigliato che io dicessi così, forse credeva che facessi valere i miei diritti contro di lui!

Ora chi dà in questa vita la testimonianza più grande contro le grandi nemiche dell’uomo di cui parla s. Giovanni? È vero che vanno scritte sia al maschile che al femminile. Ma penso che alla divina Maniera di Maria Madre di Gesù Cristo tocca a voi contemplative “compagne dell’Evangelizzazione e cuore della Chiesa” ridurre sempre più lo spazio d’azione di questo oblio di Dio che rovina la Chiesa tutta sotto ogni orizzonte.

Ora mi fermo nella chiacchierata dall’abbondanza del cuore. Lei cara Sorella non deve avere la preoccupazione di rispondere alle mie lettere. Anche se sono contento nel leggervi non vorrei togliere tempo prezioso alla vostra vita di preghiera che è già in sé apostolato!

Quando verrò in Italia […] verrò a trovarvi. Dovrete dirmi quale tempo sia più propizio cosicché io possa regolarmi secondo le vostre esigenze.

La saluto di cuore! Preghi anche per la mia salute! Estenda un augurio di santità a tutte le consorelle.

Riconoscente in Gesù, Maria, S. Giuseppe

P. Valentino Bosio, c.m.

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Seguendo la luce sono entrati nel Mistero
Estratto dal libro di Papa Francesco "Il mio presepe"

I Magi ci indicano la strada sulla quale camminare nella nostra vita. (…) Andavano alla ricerca di Dio. Visto il segno della stella, lo hanno interpretato e si sono messi in cammino, hanno fatto un lungo viaggio.

E’ lo Spirito Santo che li ha chiamati e li ha spinti a mettersi in cammino; e in questo cammino avverrà anche il loro personale incontro con il vero Dio. (…)

Guidati dallo Spirito Santo, arrivano a riconoscere che i criteri di Dio sono molto diversi da quelli degli uomini, che Dio non si manifesta nella potenza di questo mondo, ma si rivolge a noi nell’umiltà del suo amore. L’amore di Dio è grande, sì. L’amore di Dio è potente, sì. Ma l’amore di Dio è umile, tanto umile. I Magi sono così modelli di conversione alla vera fede perché hanno creduto più nella bontà di Dio che non nell’apparente splendore del potere. (…) I Magi sono entrati nel mistero.

 

Immagine: Adorazione dei Magi, Filippo Lippi.

Lettera: Pentecoste 1996

A volte c’è il desiderio di isolarsi. Sarebbe facile per me…entrare in foresta, in solitudine.

Rev.ma Madre e care sorelle tutte

La Grazia di Nostro Signore sia sempre con noi!

Avevo promesso che avrei scritto per la Festività di Pentecoste ed eccomi all’appuntamento. Vi dirò che ho cambiato provvisoriamente zona e sono finito più a monte ancore del fiume Melawi, una zona molto impervia e selvaggia per cui ho ancora più bisogno di luce e di forza che possono venire solo dallo Spirito Santo. Care sorelle tutte, è ingarbugliata la vicenda delle missioni. Pare a volte di guardare un arazzo dal di dietro. Si stenta a credere che da tanta confusione di fili e di colori, da un garbuglio d’incroci e di fibre, possa risultare un bel disegno. Eppure osservato di fronte appare il lavoro in tutta la sua bellezza ed arte.

Anch’io mentre scrivo ho la sensazione di trovarmi davanti l’arazzo della Missione: Annuncio, accoglienza, rifiuto; oppure richiesta di annuncio e poi abbandono. Poi ancora richiamo, ricerca, nostalgia di quanto si è conosciuto e poi è andato perduto. I fili dell’indifferenza e dell’oblio ce si incrociano con quelli dell0’amore sincero e del ricordo, che nessuna mano può spezzare. Non posso guardarlo alla rovescia, devo guardarlo di fronte alla Luce dello Spirito Santo per capire la Bellezza di Arte Divina e di Verità che ha in esso. “Lo spirito di Verità vi insegnerà tutte le cose che dovete fare, e vi farà ricordare tutto ciò che vi ho detto”. Penso che qui in missione in modo particolare, c’è un grande bisogno non solo di avere nella memoria, ma soprattutto comprendere il senso delle Parole e dei fatti di Gesù.

L’ho capito in questi 43 giorni di tournée pasquale nella visita a 23 villaggi. Altri sono stati tralasciati per forza maggiore. Si ritenterà ancora a luglio quando la furia delle acque sarà meno impetuosa. A volte c’è il desiderio di isolarsi. Sarebbe facile per me quando sono arrivato all’ultimo villaggio, il più a monte oltre il quale non c’è più anima viva, entrare in foresta, in solitudine. È anche bello, con quel silenzio che non è turbato nemmeno dai suoni e rumori della giungla, perché domina sempre in profondità su tutto e lo permea. È vero, a volte ti sembra di non fare niente ed essere inutile! Allora ci vuole il fiducioso abbandono che aveva S. Isidoro per il quale la preghiera dopo tanto lavoro e dopo aver messo a posto quel che doveva, era definita: “Io guardo Lui e Lui guarda me…ciò basta e serve a lavorare di più…

È una pausa in cui si deve chiedere l’assistenza dello Spirito Santo negli impegni di apostolato perché comunichi la Sua Forza dando efficacia alla parola da comunicare. “La nostra predicazione del Vangelo si svolse in mezzo a voi non in parola solo, ma in potenza ed in Spirito Santo e con piena sicurezza”. Quanto vorrei averla questa “piena sicurezza”, soprattutto quando con “timore e tremore” parlo per la prima volta di Nostro Signore a chi non lo conosce ancora. Ma del resto è sempre la “prima volta” e non puoi nemmeno tirarti indietro dicendo che sei impreparato ed indegno per evangelizzare, perché non lo sarai mai abbastanza! Hai solo bisogno che lo Spirito Santo ti dia fede, grazia, forza e sapienza, altrimenti è un fallimento ed appare solo l’arazzo alla rovescia.

Paolo VI con il Suo grande amore alla Chiesa sospirava in preghiera: “Quale bisogno avvertiamo, primo e ultimo, per questa nostra Chiesa, benedetta e diletta, quale? Lo dobbiamo dire, quasi trepidanti e preganti, perché è il suo mistero, e la sua vita, voi lo sapete: lo Spirito Santo, animatore e santificatore della Chiesa, suo respiro divino, il vento delle sue vele, suo principio unificatore, sua sorgente interiore di luce e di forza, suo sostegno e suo consolatore, sua sorgente di carismi e di canti, sua pace e suo gaudio, suo pegno e preludio di vita beata ed eterna”.

E teniamo presente la materna presenza di Maria che con umiltà riconosce il Dono di Dio. “Si è degnato di guardare la bassezza della Sua serva… ed ha fatto in me grandi cose…” perché ci aiuti a vedere e scoprire il modo in cui lo Spirito Santo vuol fare il capolavoro della nostra personale santificazione e quella d’insieme.

Pregate in particolare per questa zona!!!

In Gesù e Maria

Riconoscente P. Valentino Bosio CM

Lettera: novembre 1995

Sarikan, 23 novembre 1995

Voi siete come le radici, da cui anche coloro che sono fuori dalla Chiesa si nutrono di grazia divina.

Gent. ma e cara Sorella in Cristo,

La Grazia di Nostro Signore sia sempre con noi!

Ho ricevuto la tua bella lettera che mi ha reso contento e sereno. Aveva ragione di dire il Santo Padre, che voi contemplative siete “le compagne dell’evangelizzazione” e poi ancora “siete il cuore della Chiesa”. Quanto tu scrivi: “la fecondità della nostra vita vissuta fra quattro mura che tu non vedi, il mondo la respira”,. mi ha fatto ricordare un pensiero che da tempo non usavo nella predicazione, ossia quello delle radici. Sovente, in foresta ci sono radici che si estendono per chilometri. A volte sono sotto terra, a volte emergono alla superficie ed è doloroso camminarci sopra, bisogna farci il callo! Ebbene, a notevoli distanze, ci sono germogli che succhiano la linfa, vivono, respirano da tali radici anche senza sapere e conoscere l’albero. Faccio il paragone: l’albero è la Chiesa di Cristo, voi ne siete come le radici, da cui anche coloro che sono fuori dalla Chiesa si nutrono di grazia divina. Mi sembra che stia anche qui la preziosità della vostra vita. E poi c’è anche “l’opus gloriae” l’opera della Gloria che voi fate!! Diceva di voi in una splendida preghiera Pio XII: “Ascolta il canto di tanti spiriti eletti che consacrano la loro vita a celebrare la Tua Gloria… la lode perenne che sotto tutti i cieli ti offre la Chiesa…”!

L’eccezionalità della vostra vocazione contemplativa vi porta a pregare sempre, incessantemente perché la vostra vita è tutta una preghiera e qualche volta, secondo le circostanze, come per questa volta, oltre che parlare al Signore, parla anche del Signore agli uomini. Non siete forse voi “Lettere viventi di Cristo” che Lui manda dove vuole e quando vuole?

[…]

Adesso termino chiedendo a te ed alle consorelle di pregare per me. Con l’anno nuovo penso di essere trasferito più a monte ancora e viene facile dire: “ci vuole più fede e più forza”!!! […]

Con affetto fraterno
In Cristo Gesù

P. Valentino Bosio

Seconda Lettera: Pentecoste 1995

Pentecoste 1995

  Io voglio afferrare la luce della Vita Contemplativa perché con il Suo Silenzio che è quello stesso di Gesù, rappresenta una realtà divina per la Missione ed il mondo intero.

  Rev.da Madre

  Care sorelle in Cristo!

  La Grazia di Nostro Signore sia sempre con noi!

  Scriveva un vescovo: Ascoltiamo quei silenzi di Gesù così intensi ed eloquenti… in realtà sono più numerosi i Suoi silenzi, rispetto alle Sue parole. I SILENZI DI GESÙ RAPPRESENTANO UNA REALTA’ DIVINA. Ci sono infatti realtà che hanno una loro eloquenza intrinseca enormemente potente, come la luce: basta avere occhi per afferrarla”. Ecco: io voglio afferrare la luce della Vita Contemplativa perché con il Suo Silenzio che è quello stesso di Gesù, rappresenta una realtà divina per la Missione ed il mondo intero.

  Ricordo i tempi del catechismo, dove la maestra diceva: “Le suore di clausura stanno sempre con Gesù, esse pregano per quelli che non pregano mai; per i senza Dio; esse sono i parafulmini della società! Poi rivolgendosi a me che non stavo mai fermo, e davo fastidio anche agli altri, con la bacchetta in mano, lanciava come un grido: “Valentino, monello, ti fulmino; stai fermo!”

  Forse fin d’allora le preghiere delle suore di clausura senza che loro lo sapessero, cominciavano a fare effetto, a dare frutti, anche per me! E la maestra di catechismo diceva con parole molto concrete e gesti decisi le verità ‘DELL’UNUM NECESSARIUM E DELLA PARTE MIGLIORE’ che consiste nell’ascoltare Gesù Cristo rimanendo presso di Lui in adesione di spirito e di cuore. Tutto per fare Luce in quest’ora di tenebre!

  Con tali pensieri mi introduco a parlare della Festività di Pentecoste. La Missione è Opera Divina ed è lo Spirito Santo il Suo Autore! Vorrei che lo invocaste non solo per tutta la Chiesa Universale – questo è certamente uno dei vostri Compiti Specifici – ma anche per Chiesa locale, particolare, in terra di missione ed inserita in essa! Certo che è vero: anche voi contemplativi non vedete quasi mai il risultato dei vostri sforzi e sacrifici. Anche se c’è, ed è abbondante, non si può mica sempre sapere; non è sempre riscontrabile!

  La vostra è una pura vita di fede che cammina al buio, per fare luce ad altri. Il mondo potrebbe dire: “Come mai tu fai luce a me per vedere, mentre tu resti al buio?” Ciascuna di voi potrebbe rispondere: “Io sono stata creata per fare luce a chi si trova nelle tenebre. Io ho Luce “dentro” e te la trasmetto a … distanza!” Ogni esempio ha sempre i suoi limiti! Ma è come si lì a Fontanellato partisse una invocazione dalla vostra Trasmittente divina: “Accende Lumen sensibus – infunde amorem cordibus – infirma nostri corporis – virtute firmans perpeti (accendi in noi la Tua luce – infondi nei nostri cuori l’Amore – Fortifica la nostra debolezza – con il Tuo Vigore Eterno… Ogni monastero non è forse come città sul monte”?

  “Noi, sorelle di clausura, cercheremo di stare al nostro posto. Innalzeremo una povera antenna, quella dell’umiltà e del desiderio di Dio, e cercheremo di captare mettendoci in sintonia, in lunghezza d’onda divina con voi, la supplica allo Spirito Santo, per vederla diventare realtà divina che opera in mezzo a noi e da’ “forza al verde”!!!”

  Anch’io pregherò lo Spirito Santo, perché la vostra vita riproduca sempre meglio non solo i caratteri della Universalità della Chiesa, ma anche la fecondità spirituale di Maria Madre della Chiesa.

  Non c’è bisogno che rispondiate alle mie lettere. Non voglio che togliate tempo prezioso alla vostra vita nascosta con Cristo in Dio (S. Paolo). Come dicevo, basta il vostro silenzio per parlare a Dio di Dio. Già siete “lettere viventi di Cristo” ed in Lui vi saluto con auspici di ogni bene e santità”.

Riconoscente

P. Valentino Bosio, CM.