ALLELUIA, ALLELUIA, ALLELUIA!

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    “Vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Donna – chiesero – perché piangi? Chi cerchi?” (Gv 20,12-13). Ben sapevate, angeli santi, perché piangeva e chi cercava; perché ricordandoglielo l’avete indotta di nuovo al pianto? Ma si avvicina la gioia di una consolazione insperata, perciò scorrano pure il pianto e il dolore in tutta la loro forza.

    “Si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù” (Gv 20,14). O amabile, consolante spettacolo dell’amore. È sempre lui che è cercato e desiderato, che si nasconde e si manifesta. Si nasconde per essere cercato più ardentemente, per essere trovato con gioia e trattenuto con sollecitudine, per non essere mai più abbandonato, finché non venga introdotto nella stanza del suo amore, per farne sua dimora. In questo modo la sapienza gioca sulla terra e trova le sue delizie tra i figli degli uomini (cfr. Prv 8,30-31).

Donna perché piangi? Chi cerchi?” (Gv 20,15). Possiedi colui che cerchi e lo ignori? Possiedi la vera ed eterna gioia e piangi? Possiedi dentro di te colui che cerchi al di fuori. Davvero sei accanto al sepolcro e piangi di fuori: la tua mente è il mio sepolcro. Qui io riposo, non morto, ma vivente per l’eternità.

La tua mente è il mio giardino. Hai giudicato bene: io ne sono il custode. Io, che sono il secondo Adamo, lavoro e custodisco il mio paradiso: il tuo pianto, il tuo amore, il tuo desiderio, sono opera mia. Mi possiedi in te e non lo sai, per questo mi cerchi fuori.

Ecco che allora apparirò all’esterno per ricondurti all’interno e tu possa trovare dentro di te colui che cerchi fuori.

    “Maria” (Gv 20,16), ti ho conosciuta per nome; impara a conoscermi per fede. “Rabbunì!” cioè “Maestro!”. È come se dicesse: insegnami a cercarti, insegnami a toccarti e a cospargerti di unguento.

    “Non toccarmi” come uomo, né come mi toccasti e ungesti prima, quando ero soggetto alla morte. “Non sono ancora salito al Padre mio” (Gv 20,17): non hai ancora creduto che io sono uguale al Padre, coeterno e consustanziale. Credi questo e così mi toccherai. Tu vedi l’uomo e per questo non credi: ciò che si vede non è oggetto di fede. Ma Dio non lo vedi; credi e lo vedrai. Credendo mi toccherai, come quella donna che toccò la frangia della mia veste e subito fu guarita.

Perché? Perché mi toccò con la sua fede. Con questa mano toccami, con questi occhi cercami, con questi passi affrettati ad accorrere a me, perché non sono lontano da te.

Io sono infatti un Dio che si avvicina, sono parola sulla tua bocca e nel tuo cuore. Che cosa è più vicino all’uomo del suo cuore? Là si trova, chiunque mi trova. Le cose esteriori, infatti, sono visibili: anch’esse sono opera mia, ma sono transitorie e caduche. Io invece, che ne sono l’artefice, abito nel più profondo dei cuori puri.

Lei beata

che fu degna di portare

il primo annuncio della vita risorta.

Alleluia.

(Dal “Trattato sulla Passione e Risurrezione del Signore” di un autore del secolo XII)

Immagine: Beato Angelico, No li me tangere (Non mi toccare), Cella n. 1, Firenze, Museo di S. Marco.