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Beni culturali, tra capolavori d’arte e “spazi vuoti”

È un’attività affascinante e complessa quella che impegna l’ufficio diocesano dei Beni e attività culturali ecclesiastici ed edilizia di culto: da un lato la custodia e la promozione dei tesori custoditi nelle chiese diocesane, dall’altro la quotidiana cura del patrimonio immobiliare che ospita le attività pastorali nei piccoli e nei grandi centri delle cinque Zone.

 

Un polo culturale per la Cattedrale

Mentre continuano i lavori per la realizzazione del nuovo Museo Diocesano che occuperà parte del Palazzo Vescovile con un’esposizione di opere di arte sacra provenienti dal territorio, inizia a prendere forma un vero e proprio polo turistico-culturale che ha come centro la Cattedrale di Santa Maria Assunta. Nei prossimi mesi, infatti, la prime novità riguarderanno proprio il Duomo e il Torrazzo, monumenti che ogni anno richiamano centinaia di migliaia di visitatori. Su impulso dell’iniziativa “Salita al Pordenone” che ha portato al rinnovamento dell’illuminazione degli affreschi della navata centrale e della controfacciata, inizieranno a breve i lavori per la sostituzione dell’intero piano luci della Cattedrale. «Con l’ok della Soprintendenza – spiega l’incaricato diocesano don Gianluca Gaiardi – eseguiremo lavori a step in modo da non dover chiudere il Duomo. Le lampade attuali saranno sostituite con un impianto a led senza corde che garantirà l’illuminazione dell’assemblea e del ciclo di affreschi della navata centrale e del presbiterio».

Nel frattempo sono prossimi all’avvio anche i lavori per la realizzazione del Museo Verticale nel Torrazzo. Il progetto prevede l’apertura di una esposizione permanente dedicata alla misurazione del tempo, organizzata in quattro sale che accompagneranno la salita alla torre campanaria con sezioni dedicate al grande orologio astronomico e allo sviluppo delle tecniche per la misurazione del tempo, con la collaborazione degli orologiai cremonesi e del Consorzio Irrigazioni Cremonesi che metterà a disposizione il modello dell’Artificio di Toledo esposto per la prima volta nella mostra dedicata a Janello Torriani al Museo del Violino.

 

Per una cura del patrimonio

Tuttavia non si tratta solo di valorizzare i grandi capolavori che nei secoli hanno unito l’arte alla devozione e alla spiritualità diocesana. «Ogni giorno – spiega infatti don Gaiardi – il nostro ufficio lavora per la conservazione di tutto il patrimonio immobiliare della diocesi: chiese, canoniche, oratori…». Un lavoro meno appariscente ma non meno importante che richiede una visione progettuale complessa: competenza tecnica da un lato e attenzione alle funzioni che questi luoghi hanno ricoperto e ricoprono nella vita delle comunità.

«Questa attività quotidiana – spiega l’incaricato – richiede una grande responsabilità progettuale da parte dei professionisti che lavorano sulle nostre strutture, una relazione costante ed efficace con la Soprintendenza, ma anche una capacità di programmare la conservazione. Non possiamo pensare di intervenire solo in caso di emergenze, ma dobbiamo pensare alla manutenzione ordinaria».

Un processo che richiede dunque uno scambio continuo di informazioni tra l’Ufficio deputato e le parrocchie che gestiscono i singoli immobili: «Come già quest’anno, anche nel 2019 a gennaio proporremo incontri nelle Zone tra gli uffici amministrativi di Curia e i consigli economici per indicare il ruolo specifico dell’Ufficio nella gestione delle pratiche e illustrare le prassi corrette. Sulla scorta del Vademecum che abbiamo già preparato per parroci e tecnici».

Non solo burocrazia, però… «si tratta di formare una mentalità – riflette don Gaiardi – per la cura del patrimonio diocesano. È giusto che i parroci e laici che li affiancano conoscano la storia degli edifici e la condizione di manutenzione in cui si trovano».

 

I progetti di ristrutturazione

Intanto già nei prossimi mesi sono numerosi i progetti di ristrutturazione attivati. Alcuni partiti da poco, altri già finanziati dalla Cei grazie ai fondi dell’8xMille (circa 600mila euro, mentre sono già partite le richieste per un contributo di oltre 700mila euro per l’anno 2018) :

  • ristrutturazione dell’oratorio di Caravaggio (in corso)
  • ristrutturazione della chiesa parrocchiale di Masano (in corso)
  • ristrutturazione della chiesa parrocchiale di Fornovo San Giovanni
  • restauro della chiesa parrocchiale di Fengo
  • restauro della torre campanaria di Rivolta d’Adda
  • restauro della facciata della chiesa di Belforte
  • restauro della facciata della chiesa parrocchiale di Covo
  • restauro dell’organo della chiesa di Paderno Ponchielli
  • restauro dell’organo del Santuario della Misericordia di Castelleone

 

Gli oratori modulari

In questo percorso non possono però mancare i riferimenti alla funzione pastorale dei singoli edifici e degli spazi storicamente utilizzati dalle parrocchie. In questo caso un’attenzione particolare va dedicata agli oratori, caratteristica fondamentale del tessuto territoriale diocesano che, anche alla luce dei cambiamenti sociali e alle nuove formazioni territoriali delle unità pastorali,  attraversano una fase di inevitabile ripensamento. «I parroci e gli educatori devono valutare ciò di cui hanno bisogno le nostre strutture per essere ancora luoghi di accoglienza. E su questa base favorire una sempre maggiore adattabilità alle innovazioni. A partire dalle attrazioni. Ad esempio qualche anno fa i cambi in sintetici erano una rarità, oggi invece sono sempre più diffusi perché funzionali».

Insomma se cambia l’organizzazione parrocchiale e le strategie pastorali richiedono un adattamento ai tempi, anche le strutture devono adeguarsi per essere valorizzate: «C’è stato – ricorda don Gaiardi – un tempo in cui ogni oratorio aveva la sua sala della comunità o il suo cinema. Ora ne sopravvivono pochissime. E’ stata una fase che ha fatto il suo prezioso tempo. D’altra parte una volta i bar dell’oratorio non esistevano, se non con qualche espositore di caramelle, mentre oggi in alcuni casi addirittura l’oratorio stesso viene identificato con il bar. E il barista diventa un presidio, la prima figura educativa quando si entra».

E oggi? E domani? «Questi esempi mostrano una capacità di rimodularsi che gli oratori non perderanno. Don Bosco è partito da un cortile, attorno al quale ha creato via via spazi utili all’educazione dei ragazzi. Questo è il principio: essere modulari, capire ciò che è più utile oggi sapendo che – probabilmente- tra dieci anni servirà altro».

 

Il nodo delle canoniche vuote

Ma in una fase storica in cui un’unica unità pastorale occupa lo spazio in cui una volta sorgevano due, tre o più parrocchie, non sono soltanto gli oratori a rappresentare un nodo cruciale per l’edilizia diocesana. «Da tempo – spiega don Gaiardi – la diocesi si interroga sull’impiego degli spazi che restano vuoti. In questo contesto si pone il grave problema delle case canoniche, legato inevitabilmente al calo vocazionale. Abbiamo edifici enormi, ingestibili dove potrebbero vivere più parroci insieme, abbiamo case abbandonate nei piccoli centri e case vicariali vuote da anni».

Se sul territorio diocesano sono censite oltre 500 chiese attualmente in uso è facile intuire come anche il numero delle canoniche sia abbondantemente superiore alle necessità attuali. Che fare? «Si può riqualificare, si possono pensare nuove funzioni, come quella di accoglienza di migranti o di famiglie bisognose, ma anche in quel caso si tratta di ristrutturare con un grande impegno in termini di costi e competenze necessarie. Per questo in alcuni casi, per quanto dolorosa, la scelta di vendere può essere considerata». Certo, si tratta di edifici storici, legati alla vita delle comunità: «Capisco la difficoltà. Ma vendere una canonica non dev’essere visto come un insuccesso, ma come un’ottimizzazione per nuove risorse da impegnare nella pastorale. Non corriamo il rischio di essere schiavi degli spazi. Piuttosto l’attenzione delle comunità dev’essere rivolta a che cosa fare negli spazi disponibili».